Filippo Cosentino “Baritune”, Incipit/EGEAMusic

Il 2020 si è aperto nel mondo e in Italia con situazioni di estrema criticità e difficoltà causate dalla diffusione del virus COVID-19. Le reazioni di ciascuno di noi sono state e sono tutt’ora diverse e personali ma difficilmente l’emergenza sanitaria e la costrizione in casa non hanno scatenato riflessioni di vario genere in ognuno. Anche chi scrive in questo momento ha la sua buona dose di preoccupazioni e si ritrova a fare i suoi bilanci e spero mi si perdonerà se abbandono per una volta il taglio giornalistico della recensione e mi rivolgo ai miei lettori in toni più confidenziali del solito.

Nelle mie lunghe giornate in casa, ad accompagnare i miei pensieri, non avrei potuto trovare un compagno “di viaggio” (interiore) migliore dell’album di Filippo Cosentino “Baritune” che mi sento senza esitazione di annoverare tra una delle prime cose davvero belle di questo 2020. Le 12 tracce di questo lavoro si sono rivelate una perfetta colonna sonora delle mie riflessioni, come dei momenti in compagnia dei miei cari e credo che, per via della qualità musicale delle composizioni e delle interpretazioni di Cosentino, saranno in molti, come la sottoscritta, ad amare questo album e ad apprezzarne le tante sfumature.

I brani sembrano trarre spunto dal quotidiano, dalle cose semplici e dalla famiglia ma traducono con grande eleganza e raffinatezza in musica, le emozioni che derivano da questa quotidianità così condivisibile. Cosentino riesce ad attingere a un repertorio comune di sentimenti, avvicinando l’ascoltatore, per poi elevarlo e trasformarlo in arte.

Il malinconico brano di apertura è Antes de decir adiós e su questa stessa linea è anche la walking ballad Quiet song, carica di pathos, romantica e caratterizzata dalle atmosfere a tratti sognanti. In entrambe, Filippo Cosentino imbraccia unicamente la chitarra baritona come nell’interpretazione dello standard jazz Beautiful love (V. Young), dove il tempo si dilata e il romanticismo è macchiato di tristezza. Più lieto il mood di Estate (B. Martino) dove pure troviamo una concezione del tempo dilatata e un’atmosfera rarefatta. In One quiet night (P. Metheny), riconoscimento ad uno dei grandi maestri della chitarra baritona, il musicista sceglie una differente accordatura rispetto a quella della versione originale e conferisce al brano toni cupi, tristi, con frequenti variazioni ritmiche, come in una narrazione, un discorso in cui mancano solo le parole. Dolce, ma venata di tristezza, anche Lascia ch’io pianga (G. F. Handel).

L’atteggiamento cambia nella ritmata Fields of wheat dai toni più concitati, avventurosi e a tratti festosi. Il brano evoca con immediatezza, nell’immaginazione dell’ascoltatore, vasti campi di grano e vendemmie; un viaggio “country” nostrano dal sapore siculo-calabrese. Allegro l’umore di Old boy, omaggio a J. D. Salinger.

Sono due, invece, gli strumenti (chitarra acustica ed elettrica) che disegnano base ritmica e melodia a partire da Family, dove il chitarrista scandisce il tempo battendo sullo strumento e interrompe frequentemente la linea melodica con vortici di riff sui quali si scatenano gli assolo della seconda traccia sonora, con richiami alla musica dance anni ‘70. Stessa dinamica ma altre emozioni in Love, dove la melodia seducente si poggia sulla base di riff ritmata e coinvolgente. Più ambigua e atonale la melodia di Andromeda e Perseo mentre l’R’n’B di CDMX è contaminato da sonorità ispirate al Messico.

Laura Mancini

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