Sarà difficile immedesimarsi in un articolo insolito come questo se non si fa costantemente uso dei mezzi pubblici e se non si abita in una grande città. Nella Capitale, chi, come me, vive gli spostamenti quotidiani perennemente condizionato da attese, disservizi, scomodità e mancanza di sicurezza che caratterizzano autobus, tram e metropolitane, sarà abituato al ripetersi sistematico di tutta una serie di fenomeni ai quali ormai è assuefatto, anche nel caso in cui siano abusivi o illegali.
Indipendentemente dall’opinione di ciascuno sulla situazione dei tanti zingari che, tutt’altro che nomadi, popolano numerosi la città di Roma, c’è una reazione che accomuna probabilmente il 90% dei cittadini, quando, saliti sul vagone affollato della metro, di prima mattina, ancora assonnati ed in cerca delle energie necessarie per affrontare la giornata lavorativa (o qualsiasi altra cosa li aspetti), vengono improvvisamente storditi dal Rom di turno che, dotato di amplificatore, propina una performance cantata al microfono col riverbero al massimo o eseguita alla fisarmonica o che, talvolta, facendo finta di suonare, fa partire una registrazione, mentre un bambino, sbatacchiato qua e là tra la gente dai movimenti del mezzo, chiede denaro. Di fronte a queste performance che vanno dal noioso, all’imbarazzante al fastidioso al pessimo, si vedono comparire la più vasta gamma di smorfie sui volti dei passeggeri, i quali sospirano o cambiano vagone esasperati o protestano a bassa voce, tra sé e sé o, ancora, sono costretti ad interrompere la conversazione col vicino di sedia o al cellulare, a causa del volume assordante della “musica”.
Certo, parte della diffidenza dipenderà anche dal fatto che molti di questi presunti artisti di strada/mendicanti si rivelano, poi, ladruncoli che, camuffandosi tra la folla di gente che sale e scende dal treno, infila con abilità le mani in qualche tasca del malcapitato. C’è qualcosa, però, che fa pensare che non si tratti solo di una questione di pregiudizi.
Quando, infatti, si sale e scende così tante volte al giorno e così tanti giorni l’anno dalle linee metropolitane, si ha maggior possibilità di assistere ad un evento più unico che raro… Mi capitò l’anno scorso, con un violinista talentuoso accompagnato da un chitarrista, che, salito in metro, offrì un’interpretazione toccante e sentita di non ricordo quale brano classico. Mi è ricapitato anche pochi giorni fa: un ragazzo, armato del solito amplificatore, che imbracciava un sax alto, strumento assai inconsueto per gli zingari, suonava in piedi, davanti ad una delle uscite. Il ritmo della performance era incalzante ed il sound seducente e nel giro di pochi secondi mi sono ritrovata girata verso di lui a fissarlo… Era proprio bravo. Mentre in genere si tende a tenere il volto basso per evitare di incrociare lo sguardo dell’artista abusivo di turno, in questo caso eravamo tutti lì col mento alzato, come se ci trovassimo in un jazz club, seduti davanti al palco. Alcune persone, prima di scendere, hanno lasciato al giovane degli spicci; la scena è divenuta, a tratti, surreale e una signora che si trovava piuttosto lontana dal “musicista” ha attraversato appositamente i vagoni per portargli un’offerta, prima di andarsene… E questo mi ha fatto riflettere. Mi ha portato a meditare sul fatto che, pure in un momento economicamente critico come quello che si vive tangibilmente nel nostro Paese, dimenticando per un istante l’illegalità della situazione ed abbandonando ogni dubbio o pregiudizio sulla provenienza e la storia della persona che suonava per noi, anche in un contesto in cui non è assolutamente tenuta a farlo, la gente è ancora ben disposta a pagare quando il prodotto artistico è buono. Perché non c’è niente da fare: al di là della propria preparazione o ignoranza della materia (e per come ci stanno abituando in Italia, saranno sempre di più gli ignoranti), siamo tutti in grado, istintivamente, di riconoscere un buon prodotto artistico.
Varrebbe davvero la pena investire ancora nell’arte, in Italia…
Laura Mancini