Dal 23 al 28 Febbraio 2010 nell’ambito della rassegna Exit, il Teatro Due di Roma ospita la Compagnia Labit con lo spettacolo “Ogni cosa viva. Morte e vita di Egon Schiele”.
Un sipario appena socchiuso ci lascia intravedere, a inizio di questo spettacolo, il corpo nudo ed esile di una ragazza che cammina avanti e indietro. Ottavia Nigris, interpretando inizialmente i panni di Gertrud, sorella e prima modella di Schiele, ci presenta una donna gelida e fonte di grandi tormenti per il fratello, che “è lì solo per farsi guardare” dice; tanto più la donna è ferma e glaciale, maggiormente notiamo il contrasto con l’indole agitata e nervosa del pittore. Come prosecuzione di questa contrapposizione, quando lui le descrive la propria immaginazione, le immagini che affollano la sua mente, lei gli da la sua personale visione di quelle stesse immagini. Treni e vagoni, paesaggi e corpi sono l’oggetto principale di tali visioni.
Più umani ma anche più carnali i tratti della coppia Egon-Wally (la seconda modella che lavorò con lui). Infilandosi in una grande camicia da notte insieme, i due si divertono a giocare col corpo, studiandolo e deformandolo ed ancora Egon “gioca” col corpo di lei come fosse un manichino. A Wally spetta il monologo più lungo, nel ricordo di un’infanzia interrotta dalla morte del padre e della scoperta della sessualità con uno zio molto più grande, vissuta come un assassinio. Il loro rapporto, così come è rappresentato, sembra escluderli dal mondo, isolarli, enfatizzando l’atmosfera irreale dello spettacolo, in un oscillare tra parti del testo più criptiche ad altre più chiare, dando la sensazione di un tempo che si dilata.
La Nigris veste in fine i panni di Edith, ultima modella e moglie di Schiele. Si accenna al periodo in cui Schiele fu imprigionato per aver mostrato a dei bambini dei disegni erotici ed alla sofferenza del pittore di allora per il fatto di non poter dipingere. Vediamo, in una conclusione ancora tormentata, i due morire a causa dell’influenza spagnola.
La drammaturgia di Gabriele Linari non presenta una conversazione lineare tra i protagonisti e non è su quella che punta la regia, quanto piuttosto sulla ricerca estetica nella costruzione delle scene. Interessante, in tal senso, l’idea di proiettare su un telo presente nella scenografia, le riprese dello spettacolo da due video camere, fornendoci altre prospettive. È uno spettacolo che “cattura” e “scuote” interiormente, da godere prima di tutto con gli occhi, fatto di lunghe pause del parlato a cui si sostituiscono le efficaci musiche di Jontom.
“Ogni cosa viva è già morta” ripete Linari nei panni di Schiele; la morte, il tempo stesso, non esistono per un artista che potrà contare sulle sue opere immortali.
Laura Mancini