“ZEN TAURI” ENDERS ROOM

Con l’album “Zen Tauri” Johannes Enders, avvalendosi del contributo di cinque musicisti, prosegue il percorso di sperimentazione nella musica d’avanguardia avviato da qualche anno col progetto Enders Room.

Una melodia cantilenante ripetuta a lungo da Wolfgang Muthspiel alla chitarra è la chiave su cui si costruisce il brano d’apertura Cassini, ritmato da una batteria dal sound mutevole — fino a non poterlo più ricondurre ad uno strumento — ed arricchito dai riff opachi dei fiati: l’effetto d’insieme è insinuante, e con l’aggiunta di suoni “liquidi” ottenuti con l’elettronica si viene trasportati in una dimensione lontana, ovattata o piuttosto “sommersa”.

Il solo ascolto di questa prima composizione fornisce già un’idea di quali siano le atmosfere che caratterizzano il Cd: sognanti e malinconiche, sospese e surreali, riportano a tanto materiale ancora d’ispirazione del Kraut Rock (basti pensare ai Kraftwerk) e della musica cosmica. Raramente vengono abbandonate per spostarsi verso il nu jazz, come in Companion Star a cui le percussioni conferiscono un ritmo trascinante animato anche dalle pause sincrone di fiati e pianoforte, mentre in Nothing Matters il tema principale intonato da Enders al sax tenore entra facilmente in testa, contribuendo ad un atteggiamento più rilassato.
All’elettronica si ricorre per “simulare” strumenti: sembra talvolta di riconoscere basso, contrabbasso o pianoforte: in Zen Tauri, ad esempio, è il piano a ripetere incessante le stesse note per costruire insieme ai fiati una melodia lenta e triste; nel finale, tra l’altro, si intuisce il “rumore” del passaggio di un treno sulle rotaie. In New Wonder, cantata in inglese dallo stesso Enders, e in Mare Profondo, dove le note cadono come gocce, pare di sentire un vibrafono. Ma anche laddove gli strumenti sono quelli autentici, il lavoro in studio di registrazione è molto presente: ne sono una dimostrazione la breve e surreale Arvo e ancor più Archetype, composizione a tratti psichedelica in cui le tracce sonore, in primo luogo quelle che costruiscono una base che pare un disco incantato, paiono frammentate e poi ricomposte in un puzzle confuso. Il suono di un organo caratterizza la cupa Notre Dame: composta da due differenti fasi melodiche e ritmiche, sembra quasi la colonna sonora di un videogame, ripresa nella conclusiva Notre Dame Reprise.
Laura Mancini
(Jazz Colours – anno 2011)

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