Intervista a Viviana Guarini autrice de “Siamo stati anche felici”
Viviana Guarini (Bari, 1988) è una psicologa, copywriter e formatrice. Ha appena pubblicato il suo terzo romanzo con Les Flâneurs: “Siamo stati anche felici”. Il libro parla del fatto che, anche nei momenti più difficili della nostra vita, è pensabile ritrovare o avere dei piccoli momenti di felicità. La scrittrice si racconta in questa intensa intervista.
Chi è Viviana Guarini oltre i panni della professionista e della scrittrice?
«Una donna-bambina, innamorata della vita e dell’amore. Sensibile, a volte capricciosa, si mette in gioco, assieme ai propri limiti e alle proprie fragilità. Dolce all’occorrenza, dietro una veste a volte spigolosa, ama il senso più profondo del termine “fratellanza”».
È al suo terzo romanzo, si dice che di solito è il libro che consacra gli autori in campo letterario, lei cosa ne pensa?
«Credo che la consacrazione sia un concetto che rischia di immobilizzarci in un’immagine cristallizzata di noi stessi, con il conseguente pericolo di agire, poi, solo guidati dal proprio Ego. Convinta di andare in controtendenza, credo che tutti siano liberi di ritenersi scrittori, se in questa passione ci mettono tutto il cuore e l’impegno richiesti. Mi è capitato sovente di vedere giovani esordienti molto bravi, derisi o sminuiti solo perché al loro primo romanzo.
Non credo sia il numero di pubblicazioni a renderci dei “veri scrittori”, ma piuttosto l’umiltà, l’empatia e la consapevolezza che, soprattutto al giorno d’oggi, questo mestiere richiede impegno costante. Non bastano tre titoli pubblicati per sentirsi scrittori. Scrittori lo si è o non lo si è, nella capacità di tutti i giorni di guardare la vita e narrarla, per un fine ultimo che non è solo quello del numero totale di copie vendute. Ogni scrittore dovrebbe riconoscersi in una piccola o grande missione. Se questa non c’è, allora meglio cambiare percorso».
Di cosa parla “Siamo stati anche felici” e a quale genere letterario appartiene?
«Quello in cui mi sono cimentata è un romanzo terapeutico che affronta il tema della caduta e della rinascita. Lo fa per mezzo di alcune lettere scritte da parte della “mente”, a cui è affidato il ruolo della sofferenza incastrata in pensieri e schemi disfunzionali. Ad essa risponde prontamente e con pazienza l’“anima”, a cui è affidata la parte più autentica di ognuno di noi che, con maestria e audacia, conduce la mente alla guarigione.
Appartiene, in qualche modo, al genere del “romanzo epistolare”, a sfondo psicologico e spirituale».
Lei affronta temi importanti e introspettivi che toccano le corde dell’anima. Un libro necessario in questo momento difficile ma quali riscontri ha avuto dal suo pubblico? E lei come sta vivendo la pandemia?
«Molti dei lettori che hanno già letto “Siamo stati anche felici” si sono spesi in messaggi di ringraziamento bellissimi, che mi hanno commossa e che mi hanno ricordato il motivo principale per cui scrivo: provare a rendere la scrittura uno strumento di comprensione e di guarigione. Quest’ultimo mio romanzo, a detta di molti lettori, ha una maturità di scrittura e di introspezione maggiore ai due precedenti, probabilmente come è normale che sia perché lo scrittore cresce assieme ai propri romanzi.
Da circa un anno a questa parte, la mia vita è sicuramente cambiata, oserei dire in “meglio”. Nonostante le restrizioni e il ridottissimo contatto sociale, il tantissimo tempo che abbiamo avuto a disposizione per “fermarci” e restare in silenzio mi ha aiutato a rivalutare le priorità della mia vita e a impreziosire ogni istante della mia esistenza. Oggi sono certamente una persona più matura ma anche più innamorata del silenzio e della natura, che in questi lunghi mesi mi hanno molto aiutato ad affrontare le mie giornate».
È un inno alla gioia di vivere, alla bellezza della fragilità, alla potenza dell’amore. Contiene una parte autobiografica? Oppure si riferisce alle sue esperienze da psicologa?
«Credo sia quasi impossibile poter parlare di fragilità e di potenza dell’amore senza scavare a fondo nella propria storia di vita, nei propri punti deboli, nelle proprie emozioni. Queste consapevolezze sono frutto sia di un percorso di crescita e terapeutico personale, sia delle relazioni di aiuto che quotidianamente intraprendo nella mia vita. Osservare è sempre il mezzo più importante per accettare, comprendere e crescere».
Cosa pensa dell’editoria italiana?
«Credo che esistano editori ed Editori. Esistono case editrici che scommettono sui propri autori anche quando esordienti e assolutamente sconosciuti, seguendoli passo dopo passo in questo tanto affascinante quanto difficile mondo. Ne condividono i piccoli e i grandi successi. Esistono, poi, invece case editrici solo guidate dal profitto, che mettono in circolazione anche libri dal dubbio valore artistico. Nel mondo dell’editoria non si può essere guidati soltanto da una motivazione utilitaristica e questo, purtroppo, spesso accade soprattutto nelle grandi case editrici. Credo che l’editoria italiana e anche i premi letterari ad essa connessi debbano sganciarsi da una logica di “circolo elitario” e concedere maggiore spazio anche a chi “non ha santi in paradiso”».
Cosa direbbe a uno scrittore emergente alle prese con la sua prima pubblicazione per indirizzarlo al meglio?
«Prima di tutto di fare un lavoro importante per mettere a bada l’ego che, presente in ciascuno di noi, spesso ci porta a credere che “tutto sia dovuto”. Pubblicare un libro è sicuramente importante, ma lo è e dovrebbe esserlo soprattutto per la passione e i sogni che in esso riponiamo. Per questo, soprattutto alla prima pubblicazione, bisognerebbe concentrarsi nella motivazione profonda che porta a pubblicarlo senza aspettarsi di scalare tutte le classifiche del mondo: questo in realtà non accade proprio quasi mai, soprattutto all’inizio.
Un libro richiede un impegno costante, esattamente come mettere al mondo un figlio: non basta scriverlo affinché esso cresca. Bisogna prendersene cura, costantemente, raccogliendo con pazienza e umiltà anche i feedback dei lettori, per crescere prima di tutto come uomo o donna e poi come professionista».
Nel suo libro osanna i sogni, allora ci può raccontare quali sono i suoi nel futuro prossimo?
«Sicuramente il sogno più importante è quello di non dimenticare quello che questa pandemia mi ha insegnato: la bellezza della fragilità, del tempo lento e delle cose fondanti della vita, come ad esempio l’amore verso le persone più importanti.
Se volessi, però, staccare un po’ i piedi da terra e sognare in grande, non negherei che un giorno, più o meno lontano, mi piacerebbe che fosse ispirato un lungometraggio proprio ai miei scritti. Mi piacerebbe ripercorrere le storie e le vite dei miei personaggi in una sala cinematografica. Dicono sia quasi impossibile, però, sognare, proprio come spesso ripeto, è gratis».
Lisa Di Giovanni