“FORZA VENITE GENTE” FESTEGGIA 30 ANNI AL TEATRO ITALIA

Il ritorno sulle scene di uno spettacolo che già negli anni ’80 aveva avuto grande successo ed incontrato l’apprezzamento e l’affetto del pubblico, è senza dubbio un evento che crea aspettative e curiosità. Lo scorso 25 Ottobre, la compagnia di Prosa “Silvio Spaccesi” con la regia e le coreografie di Giancarlo Stiscia, ha riportato in vita un musical che debuttò nel 1981, con l’intento di riscoprirne ancora una volta l’attualità. Ed in questa edizione, come in quella di allora, a distanza di 30 anni e dopo 15 di assenza dalle scene, Silvio Spaccesi interpreta Pietro di Bernardone, il padre di Francesco d’Assisi, ricco mercante che non accetta che il figlio sia destinato alla santità ed abbracci la povertà per raggiungerla.

Le aspettative, però, vengono purtroppo disattese fin dalle prime scene, innanzi tutto per problematiche di tipo tecnico che continuano a caratterizzare le rappresentazioni del Teatro Italia fin dalla sua riapertura: l’acustica, infatti, non è buona e nonostante gli interpreti indossino dei microfoni, la maggior parte dei testi delle canzoni risultano poco comprensibili. Si perde, così, gran parte del significato e della godibilità della commedia musicale. Ma potendo contare sul fatto che molti degli spettatori conoscano già la storia, non si fermano qui, sfortunatamente, le difficoltà.
Personaggio forte delle parti recitate, infatti, è proprio Pietro Di Bernardone e non possiamo fare a meno di accorgerci che tutto è cambiato nell’interpretazione che ne propone Spaccesi: è sufficiente ritrovare i vecchi video della rappresentazione del 1986 che andò in onda sulla RAI, per ricordare come, col suo accento marchigiano, la sua comicità popolare, semplice, spontanea, la simpatia innata, l’attore riuscisse a rendere vero e credibile il personaggio, facendo ridere immediatamente il pubblico con improvvisi acuti della voce quando Pietro ironizza sul fatto che il figlio Francesco abbia scelto di baciare proprio un lebbroso. Meno vario nei toni, lento nel ritmo, Silvio Spaccesi ora è piuttosto impacciato nella gestualità, che risulta insensata e poco naturale – quel ripiegare meticolosamente le stoffe che rappresentava l’attaccamento al mondo materiale del personaggio, qui diventa un gesto appena accennato ed incompleto – e, a causa della difficoltà a ricordare il testo, rende palese il fatto che stia cercando le “battute” giuste di un copione, togliendo così anche veridicità al personaggio anziché valorizzare la sceneggiatura tanto bella della commedia, che a quel punto non si apprezza e non coinvolge più.
Non regge il confronto con i precedenti interpreti (video) – tra i quali anche un uomo, Oreste Lionello – nemmeno Rosaura Marchi nella parte della Cenciosa (video); ma al di là dei confronti, la sensazione è che l’attrice stia “recitando” e cercando di farci sorridere per forza, invece di interpretare, mancando anche lei di spontaneità. Spetta a lei pure la parte della Povertà, che intona un brano musicale, un tempo affidato alla bella voce graffiante di Anna Pirastu (video). 
Certo, ci sono dei punti di forza che riescono comunque a catturare l’attenzione ed a stupire. I costumi meravigliosi di Eriminia Palmieri, realizzati con stoffe che spesso enfatizzano i movimenti delle coreografie ed in certi casi divengono essi stessi elementi scenografici, come nella bellissima rappresentazione del presepe, una scena che sembra un vero e proprio quadro.

Notiamo, poi, delle differenze nelle coreografie di Stiscia, che pur riprendendo elementi chiave di quelle originali, appaiono più moderne e lo stesso vale per l’arrangiamento meno “rock” e più contemporaneo di molti brani. Il corpo di ballo fa un buon lavoro, ragazze e ragazzi sono elastici nei movimenti, dinamici, coordinati. Un po’ di rigidità si avverte con la coppia che accompagna il brano La Povertà e qualche incertezza nell’equilibrio per le ragazze in E Volare Volare. Sono di grande effetto i solo di La Luna e Sorella Morte: in quest’ultimo, in particolare, è di grande forza il simbolismo che ci mostra che lo stesso Francesco sconfigge la morte, nonostante apparentemente ne sia vittima.

I cantanti sono tutti preparati, talentuosi, dotati di belle voci, intonate e calde, direi anche superiori a quelle del cast della prima edizione.
Ma, anche in questo caso, c’è un ma: al di là della perfezione tecnica, l’interpretazione delle canzoni manca talvolta di “anima” e i personaggi risultano piuttosto “fiacchi”, tranne Il Lupo, davvero energico e ben caratterizzato e fatta eccezione qualche raro momento di brio del protagonista Alessandro Marino nei panni di Francesco, come nel caso di Perfetta Letizia.
L’impressione generale, quindi è che proprio il regista non sia stato in grado di realizzare quell’obiettivo che si poneva, di far riscoprire l’attualità di questo lavoro. Prima di indirizzare tale intenzione nei confronti del pubblico, infatti, sarebbe stato opportuno far appassionare alla vicenda e alla bellezza del testo gli stessi attori, cantanti e ballerini poiché non c’è passione nei loro gesti e non trasmettono coinvolgimento e spesso appaiono “slegati” nei loro ruoli e poco interessati al messaggio di amore, di rinuncia, di fratellanza implicito nello spettacolo.
Laura Mancini

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