Alessandro Pezza si presenta coi suoi “Giochi di famiglia”

Al Teatro Lo Spazio di Roma (Via Locri, zona San Giovanni), ha debuttato la compagnia Zabalik con un testo poco conosciuto in Italia: “Giochi di famiglia” della contemporanea autrice serba Biljana Srbljanovic. Ne cura la regia un giovanissimo Alessandro Pezza, alla sua prima esperienza completamente autonoma, avvalendosi dell’aiuto di un cast di tutto rispetto: Nicola Canal, Patrizia Ciabatta, Desirée Cozzolino e Francesco Testa sono i quattro interpreti che si calano nei non facili ruoli di questo testo, che li vuole bambini e adulti allo stesso tempo.

I drammi della giovane scrittrice Biljana Srbljanovic “La trilogia di Belgrado”, “Giochi di famiglia”, “La caduta”, “Supermercato”, “America, parte seconda” e “Le cavallette”, rappresentate in più di centoquaranta teatri di tutto il mondo, hanno affermato quella che è, fino adesso, forse la migliore scrittrice di drammi della regione jugoslava, promuovendo anche la spiccata sensibilità della nuova generazione del dopo guerra. Il suo “Diario di Guerra” pubblicato su Repubblica l’ha resa celebre in Italia.

Ecco l’intervista al regista della compagnia, Alessandro Pezza:

Come sei venuto a contatto con il testo di questa autrice?

Mi sono interessato al lavoro di Biljana Srbljanovic leggendo un’intervista rilasciata in occasione della recente edizione della Biennale di teatro: «Il drammaturgo ha il compito di raccontare storie, ma queste devono emergere dai fatti, essere ben radicate nel “qui e ora”, anche se raccontano fatti lontani nel tempo». Una dichiarazione di semplicità, una rivendicazione di un teatro “necessario”, critico e attento al contemporaneo.

Che attinenza trovi con la società e la realtà in cui viviamo?

“La crisi potrebbe già finire domani”. È forse questa la battuta che ci riporta immediatamente all’attuale, alla nostra storia. “Giochi di famiglia” è una carrellata di situazioni e personaggi che non vogliono essere parodia del reale, ma fatti concreti, crudeli, immediati, raccontati con sguardo lucido e disincantato. I bambini che animano la scena, giocando ruoli differenti di un’ipotetica famiglia, riportano senza filtro ciò che osservano ogni giorno: atti di violenza, tensioni politiche, crisi economica, razzismo, corruzione, appropriazione indebita. C’è nelle parole dei protagonisti la stessa insofferenza diventata quotidianità degli italiani dei nostri giorni.

Su cosa hai puntato, nella tua rappresentazione e versione drammaturgica, qual è il messaggio principale che vuoi far passare?

Il lavoro si è concentrato sulla pluralità di ogni singolo personaggio. Attori adulti che interpretano bambini che giocano a fare gli adulti, e che nel loro prendere il gioco tremendamente sul serio superano la finzione. Ruoli che si scambiano, con l’imprevedibilità e la fantasia tipica dell’infanzia, ma anche con la crudeltà di chi vive ai margini della società, cittadino di un Paese in rovina. Una prova attoriale impegnativa, alla continua ricerca di colori e sfumature senza cadere nel grottesco, nella forzatura o nell’imitazione.

Un modo per costruire uno specchio della società il più completo possibile, che induca alla riflessione e al confronto.

Come nasce “Zabalik” e come è nato il rapporto con gli altri membri della compagnia?

Zabalik nasce dal sodalizio artistico con Zelia Carbone, scenografa e costumista di grande valore e dalla volontà di proporre un teatro in grado di stimolare e coinvolgere lo spettatore. Fondamentale è il confronto con l’attuale e il contemporaneo, l’attenzione alla nuova drammaturgia e la ricerca di differenti modalità espressive.

Gli attori di “Giochi di famiglia” sono stati scelti attraverso dei provini: e l’amara sorpresa è stata rendersi conto di quanti giovani professionisti fatichino a trovare occasioni lavorative in un circuito teatrale chiuso e scostante, che non garantisce condizioni accettabili. In un Paese nel quale il mestiere dell’attore non è considerato un lavoro a tutti gli effetti, sono molti gli ostacoli da affrontare; anche il nostro proporci come produzione indipendente e autofinanziata è una scelta che comporta pesanti sacrifici. Vorremmo, senza rinunciare alla libertà artistica ed espressiva, trovare soluzione differenti per continuare a svolgere un’attività di promozione degli artisti emergenti.

Pensi che lavorerai ancora con gli stessi interpreti?

Gli attori hanno svolto un ottimo lavoro, non solo a livello interpretativo, ma anche in fase di preparazione hanno dato una propria visione del testo, un personale contributo che è la base del buon lavoro dell’attore. Sarò sicuramente felice di avere altre occasioni di lavoro con gli stessi interpreti.

A conclusione della prima, hai ringraziato la Direzione Artistica del Teatro Dell’Angelo: che contributo ha dato, come ti ha aiutato?

Ho una grande riconoscenza personale nei confronti del Teatro dell’Angelo e del direttore artistico Antonello Avallone, in quanto ho avuto la possibilità in questa stagione di seguire alcuni spettacoli come aiuto regia. Un’importante esperienza sul campo che mi ha portato a contatto con grandi professionisti oltre che con splendide persone e mi ha spinto a continuare la mia strada nel mondo del teatro.

Solo 2 giorni in scena, a fine stagione, sono appena un assaggio per farsi conoscere. Pensi di riportare in scena “Giochi di famiglia” l’anno prossimo o hai altri progetti?

Per la prossima stagione teatrale stiamo cercando di distribuire “Giochi di famiglia”, spettacolo nel quale confidiamo molto, pur essendo un testo complesso e praticamente sconosciuto. Per ora è confermato che saremo nuovamente a Roma, la prima settimana di Novembre al Teatro Abarico.

Stiamo anche portando avanti altri progetti, sempre nell’ambito della drammaturgia contemporanea; penso a Crimp, Lagarce, Reza, autori osannati in Europa ma sconosciuti al pubblico italiano. È necessario cambiare l’idea di teatro convenzionale che si è ormai creata nella testa dello spettatore, e che troppo spesso lo tiene lontano dalle platee. Vorremo far capire che il teatro è verità, critica, attualità, cultura. E intrattenimento, dopotutto.

Laura Mancini

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