“Piccola guida agli anni Dieci: 50 fatti, 50 album, 50 canzoni” Paolo Bardelli, Arcana Edizioni

Paolo Bardelli, caporedattore del magazine di musica Kalporz, ha pubblicato con Arcana Edizioni il suo primo libro “Piccola guida agli anni Dieci: 50 fatti, 50 album, 50 canzoni”.

Il testo, godibile dagli intenditori di musica ma anche dal lettore meno esperto, introduce i fatti in ambito musicale, storico, tecnologico, scientifico, cinematografico, avvenuti dall’inizio del decennio preso in esame. Colpisce molto la selezione degli avvenimenti che a tanti potrebbero essere sfuggiti o apparsi di secondaria importanza. La scelta fatta dall’autore contribuisce a ricostruire e rafforzare un disegno, un discorso coerente sulla peculiarità di questo decennio. Si tratta, per molti versi, anche di una guida all’ascolto, a una critica musicale di base, perché ogni prodotto e artista musicale va sempre inquadrato nel momento e nel contesto storico in cui si esprime.

Da quanto tempo meditavi questo libro? Quanto a lungo hai preso appunti su ciò che accadeva e volevi inserire e quanto, invece, si è trattato di una valutazione fatta a posteriori (a decennio quasi concluso)?

«In realtà il libro è nato in maniera estemporanea: casualmente proprio a partire dal 2010 sono diventato caporedattore di Kalporz e quindi ho vissuto il decennio da un punto di vista privilegiato rispetto a tutti gli avvenimenti musicali. Essendo, poi, un appassionato lettore di quotidiani ho sempre appuntato gli accadimenti che mi colpivano. In un secondo momento, ho cercato di capire cosa fosse rimasto di importante di questo periodo. Ci sono avvenimenti la cui portata si coglie solo dopo un po’ di tempo».

La copertina di “Piccola guida agli anni Dieci: 50 fatti, 50 album, 50 canzoni”

Alle considerazioni di carattere prettamente tecnico, economico e di cronaca che riguardano la musica, si alternano riflessioni più filosofiche. Si parla della rivoluzione epocale rappresentata dagli anni ‘Dieci e di come la musica non si “possieda più”. Un fatto positivo, sottolinea l’autore, se si considera importante il non essere più legati alla fisicità delle cose.

Cosa ne pensi degli ultimi, recenti tentativi – a metà tra nostalgia e tecnologia – di legare nuovamente la fruizione della musica ad un supporto fisico? Mi riferisco alla nascita di I-Disc

«Un minimo di rivincita dei supporti fisici c’è stata nel 2019, l’insieme delle vendite di cd e lp infatti ha superato di poco i download, ma la verità è che quella con lo streaming è una lotta a impari. Le rivoluzioni tecnologiche non vanno contrastate ma accompagnate e comprese».

Sei abituato a scrivere di musica ma risulta palese che non sei insensibile al potere delle immagini, infatti ti soffermi molto sulla valutazione di alcuni film e anche di molti video musicali. Oggi i video sono diventati una forma di comunicazione e di espressione estremamente diffusa, ad esempio con Instagram e Tic Tok. Visto che nel tuo libro crei tantissimi nessi tra società, tecnologia, tendenze, ti vorrei chiedere: come pensi che questo fenomeno influirà sulla musica e sulla sua fruizione?

«I video sono una forma straordinaria di veicolo della canzone fin dai tempi della prima MTV. Ci sono video che hanno fatto la fortuna delle canzoni stesse. Alcuni sono rimasti come piccole opere d’arte, quasi al pari di opere cinematografiche. Quello che vedo è che oggi c’è molta più cura nei video anche grazie al fatto che le tecnologie per realizzarli sono alla portata di tutti».

In alcune parti del tuo scritto accenni alla capacità sempre più breve che abbiamo di concentrarci solo su una canzone perché magari, mentre la ascoltiamo, stiamo sui social o anche perché siamo presi dall’eccitazione di poter “skippare” da una canzone all’altra. Sembri descrivere una società che non è più in grado di “godersi” la musica. Anche in questo caso, fai una distinzione tra gli appassionati di diversi generi musicali o succede a tutti?

«In realtà questo è un argomento che io generalizzo un po’. Le notifiche che ci arrivano di continuo ci portano a spostare frequentemente l’attenzione da qualche altra parte rispetto a ciò che stiamo facendo, non solo quando ascoltiamo la musica ma anche quando lavoriamo o stiamo parlando con qualcuno».

Parlando di Holly Herndon accenni alla sua visione ottimistica di come la virtualità possa aiutare il contatto, invece che inibirlo. Cosa ne pensi tu di questa prospettiva, per altro in un momento particolare che stiamo vivendo in Italia come questo, in cui il Paese è colpito da un epidemia che ci costringe a rimanere tutti a casa e a mantenere le distanze gli uni dagli altri?

«Beh, io sono di base una persona tendenzialmente ottimista, credo che semplicemente si debbano accompagnare queste modifiche sociali. La virtualità è una diversa realtà: non è che non sia una realtà. Come per tutte le cose ci vuole un po’ di moderazione. Il consiglio, ovviamente, è quello di usare questi strumenti virtuali ma di accompagnarli alla buona, vecchia e sana chiacchierata di persona».

In alcuni commenti, nella scelta di qualche termine, non possiamo fare a meno di notare il punto di vista e il gusto personale di Bardelli – ad esempio quando riportando lo scioglimento dei R.E.M. si riferisce al chitarrista Peter Buck come a quello del gruppo che ha continuato a “sguazzare” nella musica. Dalle parole e dalle attenzioni dedicate a un album o a un artista piuttosto che a un altro, indoviniamo anche i gusti di chi scrive, i suoi “preferiti” (emerge un debole dell’autore per Beyoncé).

Mi ha colpito una frase della tua guida nella quale affermi che il pop negli anni ‘Dieci è arrivato ad un elevato livello di importanza a causa della mancanza di rinnovamento di altri generi. Davvero la pensi così, cioè non attribuisci meriti al pop e ai suoi produttori ma, fondamentalmente, solo demeriti agli altri filoni musicali?

«Ah, ah, è interessante visto dall’altra parte! Sì, io in effetti ho fatto questa considerazione dal punto di vista dell’appassionato di rock. Il rock credo non abbia sfruttato bene certe tecnologie e non le abbia meticciate. Chi fa del rock è rimasto un po’ nella logica del basso, chitarra, batteria e il genere non si rinnova più. Ma il merito va sicuramente anche ai produttori di pop che hanno saputo fare il contrario».

Con pochi, strategici, aggettivi, l’autore riesce a dimostrare tutta la sua capacità di ascoltatore, interprete e “traduttore” in parole del prodotto musicale. Ha un linguaggio molto figurativo, le sue recensioni sono fatte di pennellate che riescono ad evocare immagini nella mente di chi legge ma lasciano il giusto spazio, poi, alla fantasia di ognuno. Emerge il critico musicale anche nella descrizione del video dei Girl Band, “Paul”, in cui paragona la catarsi da rock rumoristico di sfogo (che per precisazione, non c’è in questo brano) ai “risultati di una seduta sul lettino dello psicanalista”. Non mancano riflessioni attente e profonde sulle interpretazioni di ciascun artista degli eventi più significativi del decennio, che mostrano la capacità di Bardelli di mettere sempre tutto in relazione.

Ascolta l’intervista completa a Paolo Bardelli sul canale Spreaker di Moozart:

Laura Mancini

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