The Joshua Tree: dati anagrafici e segni particolari
Il 9 Marzo 1987 gli U2 – Bono (voce, chitarra e armonica), The Edge (voce, chitarra, pianoforte e tastiera), Adam Clayton (basso), Larry Mullen (batteria) – hanno pubblicato il loro quinto album “The Joshua Tree” con Island Records. In riferimento a tale album Bono dichiarò «La vera forza di questo disco è che attraversi gallerie buie e paesaggi desolati, ma al centro di tutto c’è la gioia».
Prodotto da Brian Eno e Daniel Lanois, “The Joshua Tree” ha vinto il premio come album dell’anno alla cerimonia dei Grammy Award del 1988; ha debuttato al numero uno nelle classifiche inglesi e altrettanto rapidamente ha raggiunto i vertici delle charts americane.
Il 3 Dicembre 2007, in occasione del ventesimo anniversario, “The Joshua Tree” è stato pubblicato in versione rimasterizzata in quattro differenti formati.
Il concepimento di un successo internazionale
Prima di pubblicare “The Joshua Tree”, gli U2 avevano realizzato “The Unforgettable Fire”. Il 1984, anno di pubblicazione di “The Unforgettable Fire” è stato anche l’anno dell’incontro degli U2 con i produttori Brian Eno e Daniel Lanois – che ha cambiato enormemente la storia della band – con i quali gli U2 si misero all’opera presso lo Slane Castle per la registrazione del nuovo album. È dalle atmosfere di “The Unforgettable Fire” che riparte la band per creare “The Joshua Tree”, cercando un suono più duro all’interno della stretta disciplina della struttura della canzone tradizionale. Come leggiamo nella prefazione di Bill Flanagan all’edizione di “The Joshua Tree” rimasterizzata nel 2007 «“The Unforgettable Fire” forse non era stato quel mostruoso inno rock da stadio che l’etichetta ed anche molti fans del gruppo si aspettavano ma gli U2 avevano scelto di lavorare con il produttore “concettualista” Brian Eno e col suo pluri-strumentista Daniels Lanois per fare qualcosa di più “controllato” e sperimentale (…) e questo rafforzò il loro rapporto col pubblico e dimostrò che la band aveva ambizioni che andavano al di là delle vendite dei dischi». Fin dagli esordi, del resto, gli U2 si sono impegnati in cause importanti, occupandosi della questione irlandese e del rispetto per i diritti civili, improntando su questi temi anche buona parte della loro attività artistica. «Il primo singolo di “The Unforgettable Fire”, Pride – prosegue Flanagan – celebrazione eccitante delle idee di Martin Luther King, fornì un piano di base su cui costruire l’idea più consolidata di America espressa in “The Joshua Tree”». Pride, infatti, era ricco di sentimenti internazional-socialisti.
Le sessioni di registrazione di “The Joshua Tree” vennero tra l’altro interrotte nel 1986 quando la band fece da headline nel tour con Amnesty International, A Conspiracy of Hope Tour. Piuttosto che rappresentare una distrazione, questa esperienza apportò un’intensità e un potere ulteriori alla loro nuova musica. Bono in occasione del suo viaggio del 1986 a San Salvador e in Nicaragua, ebbe modo di assistere in prima persona ai soprusi a cui erano sottoposti i contadini nei conflitti interni e questo influenzò molto l’album, soprattutto in Bullet the Blue Sky e Mothers of the Disappeared.
Il progetto e le influenze
Flanagan scrive nella sua introduzione all’edizione del centenario, che con questo album la band raggiunse “la cima della montagna” e la sfruttò come luogo da cui poter costruire un trampolino di lancio. Gli U2 decisero di volgere la loro attenzione verso le radici della musica americana e cominciarono ad esplorare il blues, il country e il gospel; in quel periodo frequentavano le band irlandesi The Waterboys e Hothouse Flowers e intuirono una sorta di musica irlandese indigena mescolata con il folk americano.
In questa ricerca delle alle radici del rock influenzata anche dall’amicizia con Bob Dylan, Van Morrison e Keith Richards, Bono da prova del suo talento di autore di testi e canzoni. Durante la registrazione di Silver and Gold con Keith Richards, i due ascoltano il blues, il country, la pop music americana degli anni ’50 che, combinata con i primi punti di riferimento di Bono (Patti Smith, Bob Dylan) produce un effetto sulle composizioni. Le registrazioni, tra l’altro, si svolgono in parte negli studi Sun a Memphis, dove ricordiamo sono stati registrati i primi fondamentali album di rock ‘n’ roll negli anni ‘50, dai primi singoli di Elvis Presley fino a quelli di Jerry Lee Lewis.
Bono afferma che “smantellare la mitologia dell’America” rappresenta una parte importante dell’obiettivo artistico di “The Joshua Tree”. Nell’album si contrappongono, così, l’antipatia verso gli Stati Uniti ed il rancore nei confronti della politica estera degli USA e dell’amministrazione Reagan in America Centrale, al fascino profondo che la campagna americana esercita sul gruppo, coi suoi spazi immensi e la libertà che essi rappresentano. Secondo Bono, l’album è ispirato e influenzato “più dalla geografia che dalla gente”. La musica e le parole, inoltre, sono disegnate sull’immaginario creato dagli scrittori americani che gli U2 avevano letto. «I primi tre singoli tratti dall’album hanno tutti titoli che suonano come battute che John Wayne avrebbe potuto dire in un film di John Ford, rimandando all’idea di viaggio» scrive ancora Flanagan nella prefazione.
Le radici di questo “albero di Giosuè”? Sono tutte nel blues
Il titolo e la copertina dell’album fanno riferimento alla Yucca brevifolia, detta appunto albero di Joshua (traduzione inglese di Giosuè), pianta originaria del sud ovest degli Stati Uniti (California, Arizona, Utah e Nevada); la scelta di questo titolo è un tributo all’America.
Stando a ciò che ha affermato Bono in un documentario della BBC, l’ordine delle 11 tracce di “The Joshua Tree” è stato stabilito dalla cantautrice inglese Kirsty MacColl che ha voluto per prime le sue canzoni preferite e le altre a seguire.
Where the Streets Have No Name apre l’album. Il brano è stato ispirato dal viaggio in Etiopia che Bono compì assieme alla moglie in seguito al Live Aid del 13 Luglio 1985, concerto che raccoglie tutti i più grandi artisti mondiali su 2 palchi a Londra e Filadelfia e che vedendo partecipare per la prima volta gli U2 ne definì la consacrazione. Il titolo del brano venne spiegato dallo stesso Bono in un’intervista: «Una storia interessante che mi raccontarono una volta è che a Belfast, a seconda della via dove qualcuno abita si può stabilire, non solo la sua religione ma anche quanti soldi guadagna: addirittura ci si basa sul lato della strada in cui vive, perché più si risale la collina, più le case sono costose. Questo mi disse qualcosa, e così cominciai a scrivere di un posto dove le vie non hanno nome.»
L’attacco del brano è solo delle tastiere, che creano un’atmosfera per certi versi rarefatta ed irreale, per altri solenne e “religiosa”. La chitarra elettrica, che viene amplificata gradualmente, entra ripetendo spedita ed ossessiva una medesima breve sequenza di note, per poi concentrarsi su una sola, andando a rafforzare il lavoro della batteria ed in fine viene “stoppata” creando un riff sordo che fa da accompagnamento alla voce di Bono. La batteria da un senso di corsa, di “cavalcata” verso una meta, di energia in avanti e tesse insieme alle sovra-incisioni di chitarre e tastiere una “ragnatela” sonora che si infittisce maggiormente ad ogni strofa. Il tema del refrain intonato dal cantante propone una melodia incantevole che si fissa immediatamente in testa: quando Bono ripete “Where the streets have no name, where the streets have no name…” veniamo trascinati nel suo canto quasi fosse un’invocazione.
Non distante dalla precedente, l’atmosfera di I Still Haven’t Found What I’m Looking For. Un arrangiamento particolare conferisce drammaticità al pezzo: si tratta di un blues di sedici battute ed è forse questa progressione a garantire un senso del tempo che si ripete all’infinito. La melodia interpretata da Bono è affiancata ancora dai riff della chitarra elettrica mentre le sovra-incisioni di voci armonizzano quella principale come in un gospel; la batteria è accompagnata dai cimbali ed a metà brano entra a rafforzare la base di riff anche la chitarra acustica, protagonista di una parte strumentale. Importante l’amplificazione del suono dai forti richiami psichedelici e la timbrica graffiante della voce di Bono che trascina l’ascoltatore nel suo mondo in un’interpretazione lirica. Il testo pare riferirsi all’interrogativo sulla difficoltà da parte del credente di mantenere salda la sua fede in Dio; come in uno spiritual, si chiede la liberazione dal dolore, una soluzione alle problematiche del presente e non sembra un caso che si sia scelto un blues per questo “appello”, nel tentativo di esorcizzare quei “demoni” che si agitano nell’animo del protagonista del brano.
With or Without You, probabilmente la canzone più celebre degli U2, è una ballata dal duplice significato: si parla della fine dolorosa di una storia d’amore ma anche qui c’è una riflessione sulla religione. La voce di Bono in più momenti è modulata su toni bassi e sospirati come in una meditazione interiore, mentre negli acuti – ai quali si affianca un accompagnamento strumentale più ricco, per ottenere un crescendo emozionale – si trasforma in un lamento accorato e potremmo rintracciare le origini più profonde di quel “Ooh ooh ooh ooh…” del coro, nei ring-shout, quelle grida che furono le prime forme espressive degli schiavi, antenate dello spiritual vero e proprio.
Flanagan afferma però nel libretto introduttivo dell’edizione rimasterizzata nel 2007 che, sebbene i primi tre brani siano diventati delle hit e ne siano stati tratti dei singoli, il cuore dell’album sono Running to Stand Still e Bullet the Blue Sky: «una è un sussurro, l’altra un’esplosione», dice.
Bullet the Blue Sky, ispirata dai viaggi in El Salvador e Nicaragua, esprime il risentimento nei confronti della politica estera tenuta dagli USA durante l’amministrazione Reagan in molti stati dell’America Centrale, basata sull’embargo economico e sul finanziamento di gruppi paramilitari per destabilizzare tali paesi attraverso guerre civili. Tutto suona “arrabbiato” ed inquieto in questo pezzo, dalla chitarra elettrica psichedelica e rumorosa, alla voce più ruvida ed agguerrita di Bono che abbandona per metà brano il canto per parlare sulla base musicale. Nella lenta ballata Running to Stand Still invece l’atmosfera si fa più dolce e soave e si affronta il delicato tema della droga, narrando della dipendenza quotidiana di una ragazza dall’eroina, traendo ispirazione per il testo da un fatto di cronaca avvenuto a Dublino. Un ruolo importante gioca nell’arrangiamento l’intervento del piano; malinconica la chiusura realizzata con l’armonica a bocca. Meravigliosi alcuni passaggi del testo: “You gotta cry without weeping, talk without speaking, scream without raising your voice” – “Devi piangere senza lacrimare, dialogare senza parlare, urlare senza alzare la voce”; eppure anche in questo caso, gli U2 sembrano voler denunciare un fatto importante e dare voce a chi non ce l’ha.
Si prosegue con la melodia penetrante e commovente di Red Hill Mining Town in cui si parla della situazione di migliaia di minatori che rischiano il lavoro a causa della chiusura di molte miniere, come accadeva nel Regno Unito negli anni ’80: è anche questo un canto appassionato, un grido di dolore mescolato però ad un senso di speranza. In God’s Country ci mostra il deserto americano con gli occhi di Bono: il ritmo accelera e le emozioni ispirate dal paesaggio sono espresse in un lavoro corale in cui nessuno strumento predomina. Un assolo country dell’armonica a bocca introduce le sonorità decisamente più serene di Trip Through Your Wires, pezzo dedicato all’amore per una donna, che imprigiona l’innamorato con i suoi lacci che sono al contempo per lui fonte di felicità.
One Tree Hill è dedicata a Greg Carrol, roadie di Bono che il 3 luglio morì in un incidente stradale a Dublino alla guida della proprio moto. Il ragazzo era entrato in forte sintonia con tutta la band, che decise anche di dedicargli l’album. La One Tree Hill è una collina di Auckland, in Nuova Zelanda, terra natia del giovane Carrol. A quattro minuti dall’inizio il brano sembra spegnersi quando invece Bono ci sorprende rientrando per interpretare una chiusura gospel accompagnato dai cori. Più psichedelico Exit, trae ispirazione dal film thriller del 1955 La morte corre sul fiume, narrando di un religioso che diventa omicida. Il frinire delle cicale accompagna le atmosfere noir del brano che passa da fasi di rock più duro ad altre di silenzio ed attesa.
L’album si chiude con Mothers of the Disappeared, dedicata alle Madri di Plaza de Mayo. Bono pensò a questo pezzo in occasione di una visita in Nicaragua e in El Salvador durante la guerra civile. Le atmosfere che caratterizzano il brano sono più cupe, l’incedere è lento e solenne, le lunghe parti strumentali lasciano meditare.
Riconoscimenti
“The Joshua Tree” occupa la 26° posizione nella lista dei 500 migliori album secondo la rivista Rolling Stone. Gli U2 sono diventati con questo lavoro la quarta rock band a comparire sulla copertina di Time (dopo i Beatles, The Band e The Who). Interessante anche sapere che nel 2001, “The Joshua Tree” è risultato il sesto album nella lista dei migliori album di “Musica Cristiana Contemporanea” di tutti i tempi della rivista CCM Magazine. Il disco ha venduto circa 28 milioni di copie in tutto il mondo, oltre 10 milioni soltanto negli Stati Uniti e rappresenta il più grande successo di vendite degli U2.
Laura Mancini