È bello accorgersi che nel teatro cosiddetto “amatoriale”, fatto di persone che nella vita praticano altri mestieri e che nella loro passione per il palco spesso investono molto per guadagnare poco, nonostante le ovvie differenze col teatro fatto di professionisti (prima fra tutte, il tempo che si dedica alla preparazione di uno spettacolo) ci sia ancora e comunque voglia, sfidando tutti i limiti del caso, di mettersi alla prova e proporre testi e performance “nuove” e più impegnative, facendo una scommessa col pubblico e con se stessi.
È il caso dell’Associazione artistico-culturale “Pegaso” che dal 13 al 18 Aprile 2010 presenta presso il Teatro Agorà di Roma “Eppure battono alla porta” drammaturgia di Andrea Stopponi elaborata sul racconto breve di Dino Buzzati, in occasione del 70° anniversario dalla prima pubblicazione dell’autore.
Spetta alla coppia di padroni di casa aprire la scena, ambientata unicamente all’interno dell’appartamento dei protagonisti, ricreato efficacemente grazie ad una grande cura di dettagli. Reduci da una guerra durata 5 anni, questi personaggi che rappresentano una borghesia decadente ci vengono presentati tramite un antefatto creato dallo sceneggiatore ed aggiunto al testo originale, che raccontando ciò che la guerra ha tolto loro – giovinezza, ricchezze, oggetti preziosi che rappresentavano il loro status sociale – rafforza il senso di morboso attaccamento che la donna manifesta nei confronti della sua casa lungo tutto il corso della narrazione.
Il marito, invece, accennando alla notte appena trascorsa, caratterizzata dalla pioggia incessante e da sogni/apparizioni che lo hanno turbato, presagisce in qualche modo la disgrazia che sta per incombere su tutti e che pure, nonostante sarà annunciata più volte, inspiegabilmente non verrà evitata da nessuno dei protagonisti, come bloccati da una forza maggiore che li rende incapaci di fuggire dall’abitazione.
Un dramma psicologico avvincente, che riesce a “muovere” i personaggi e con i loro moti interiori anche il pubblico, nonostante non ci sia azione se non quella, spesso ripetitiva e formale all’interno di un salotto, fatta anche di molte considerazioni e chiacchiere di scarso peso che però non allentano mai la tensione e non permettono allo spettatore di distrarsi.

Ottima la prova dell’interprete Francesco Nannarelli e buona anche quella della partner Giuliana Meli; lei è un po’ impacciata nella gestualità ma tutto sommato anche questo “limite” può essere trascurato e non si sposa poi tanto male con l’atteggiamento rigido ed austero del personaggio stesso. Perfetta, invece, in contrapposizione alla sorella, Maura Bonelli nei panni di Sofia, spontanea e spigliata sul palco, insinua con la sua leggerezza ed il suo essere anticonvenzionale, il dubbio negli altri ospiti della casa, grazie alla sua fantasia e capacità di credere nella magia e negli spiriti. Ancora, si tenta una contrapposizione, forse meno riuscita, tra quest’ultima e suo marito (Guido Alcantarini), il colonnello, personaggio qui reso senza forza, contro il quale Sofia si accanisce e al quale rivolge discorsi accorati, fin troppo accorati considerata la fiacca performance di lui: il problema sta essenzialmente nella scarsa modulazione di voce e toni, che purtroppo tolgono poesia anche al suo breve monologo in cui narra dell’esperienza nei campi di battaglia. Ha più personalità, invece, Mario Fazio nei panni del Dottore e gli perdoniamo facilmente quella “erre moscia” che alle lunghe a teatro stanca un po’.
Il primo atto scivola via senza annoiare e mantenendo sempre vivo l’interesse del pubblico, mentre nel corso del secondo atto entra in scena l’ultimo ospite, il maestro elementare Massinger e si raggiunge poco a poco il culmine dell’angoscia – enfatizzato da una giusta scelta di musiche – quando vediamo la padrona di casa Maria così legata a quel mondo dorato in cui si era illusa di poter vivere sempre e i cui difetti si ostina a negare: si attacca a qualsiasi cosa pur di non affrontare la realtà e trattenere lì con se i suoi ospiti, persino ad una semplice partita a carte che non può essere lasciata a metà. Maltratta spesso la sua inserviente Rosa, che simboleggia quell’umiltà, praticità e semplicità che lei rifiuta. Tutto lo spettacolo è realizzato proprio su questa contrapposizione tra caratteri e personaggi e la compagnia riesce a rendere bene la lunghezza interminabile dei giorni e delle ore trascorsi dentro alla casa di campagna, una percezione del tempo sempre più dilatato e irreale.
Laura Mancini