La compagnia
TIL – Teatro in Libreria http://www.teatroinlibreria.it/home.phpdi particolarità che incuriosiscono ed avvicinano il pubblico più eterogeneo ne ha davvero tante. La prima, da cui deriva il nome, è la scelta esclusiva di scrivere drammaturgie nuove, sempre basate su testi di narrativa o altri generi ma in ogni caso non originariamente teatrali. La seconda, è la capacità di coinvolgere nella produzione dei loro spettacoli – fino a riuscire a coprirne interamente le spese – le realtà commerciali vicine ai teatri in cui esibiscono: impresa che richiede un notevole impegno, in tempi economicamente non facili per i negozianti italiani, ma che dimostra quanti, ancora, decidano di credere ed investire nella cultura, nonostante tutto.
La terza, in fine, riguarda direttamente il lavoro appena realizzato sul palco del Teatro Abarico di Roma (dal 30 Gennaio al 3 febbraio 2013), intitolato “Un uomo in bilico”. Il testo, a cura di Marzia Pez, prende ispirazione dallo studio della raccolta in aforismi di Giuliano Compagno “Siamo come negozi”pubblicata da Coniglio Editore.
Ricorriamo a wikiepedia, per rispolverare con esattezza il significato di “aforisma” e renderci conto di cosa si stia parlando esattamente: “Un aforisma o aforismo (dal greco ἁπφορισμός, definizione) è una breve frase che condensa – similmente alle antiche locuzioni latine – un principio specifico o un più generale sapere filosofico o morale”.
All’epoca in cui l’opera di Giuliano Compagno fu pubblicata (il 2007), la critica ritenne che la visione della società che ne emergeva fosse eccessivamente pessimista; con quelle frasi tratte dall’osservazione della realtà contemporanea, infatti, si sintetizzavano con aspra ironia numerosi concetti, lasciando intravedere un culto del superfluo, dilagante nella realtà esaminata. Ma oggi, a soli sei anni di distanza, la tecnologia – con il diffondersi della comunicazione via sms e dei social network – ha cambiato rapidamente le cose, rendendo la lettura di “Siamo come negozi” verosimile.
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È diventato estremamente comune e facile, ormai, quando si entra, ad esempio, in Facebook, imbattersi negli aforismi. Forse molti non si rendono conto di scegliere spesso di esprimersi nei “post” ricorrendo a questa forma, piuttosto che al linguaggio comune» spiega l’autore della raccolta, in occasione della presentazione dello spettacolo tratto dalla sua opera.
«Storicamente ci sono due scuole di pensiero riguardo all’aforisma. La prima lo intende come un esercizio che esaurisce il senso opposto: tutto il mondo attinente alla questione di cui si parla viene esaurito da quella frase. La seconda, invece, lo vede come un cominciamento, un frammento, non solo perché la questione descritta non viene chiusa ma perché coloro i quali lo utilizzano sono scrittori “pigri”, che cominciano tante cose ma non le finiscono ed hanno, in questa peculiarità, un loro modo “nobile” di essere, secondo il quale “concludere” sarebbe troppo triste… ».
Ma venendo allo spettacolo della compagnia TIL, Giuliano Compagno risponde alla domanda su cosa voglia dire usare l’aforisma in una drammaturgia: «La scrittura teatrale è spaziale e non temporale (come invece accade nel cinema): gli aforismi vengono utilizzati, quindi, perfettamente nella scena, facendo sì che gli attori stessi divengano “parola”».
Marzia Pez, sceneggiatrice di “Un uomo in bilico”, parla così del suo lavoro:
Se dovessi raccontare lo spettacolo a chi non lo ha visto, come lo descriveresti? Ovvero: al di là del linguaggio particolare, c’è una trama, una storia?
«Prima di tutto il titolo dà un’idea di chi sia il protagonista: un giovane, rappresentato nell’età della crescita, che affronta con la sua ingenuità, la sua speranza, il mondo ancora sconosciuto, in bilico di fronte alle scelte che deve fare per diventare uomo, per poi rimanere disilluso ed accorgersi che spesso, di fronte alla gioia ed alla semplicità di una frase, di un sorriso, non si ottiene altrettanto, come ci si aspetterebbe. I personaggi con cui questo ragazzo – che rappresenta un po’ tutti i giovani nella loro crescita – interagisce, rispondono rimanendo distaccati e negativi, isolati nelle insoddisfazioni del loro mondo problematico che ha ormai tolto loro la serenità».
Puoi spiegarci come hai inteso quella frase gridata dal protagonista – e ripresa dal libro di Compagno – “Let’s come, let’s come! Lo spettacolo senza società!”…
«Dietro a quella frase ho visto il riferimento ad una società, ad un pubblico inesistenti, senza cultura ed identità nazionale. Lo “spettacolo” di cui si parla, evidentemente, è uno spettacolo che deve solo far scena, privato di una base culturale».
All’Italia, alla nazione si fa riferimento più volte…
«È vero e immagino che questo senso di perdita della cultura sia associato in modo tutt’altro che casuale alla visione che si ha della società italiana. C’è l’uomo col giornale, ad esempio, che deve ostentare nei suoi discorsi l’interesse per la politica della nazione; oppure quando il tifoso chiede “Che ha fatto l’Italia?” e rispondono che ha vinto, è chiaro che ciò che conta è solo il “vincere “ o il “perdere”, tant’è che nessuno, poi, sa dire di quanto ha vinto… una caratteristica, evidentemente, molto comune fra gli italiani.»
Anche Umberto Bianchi, protagonista e regista dello spettacolo, ha risposto per noi a qualche domanda.
Puoi spiegare come mai hai scelto di mantenere contemporaneamente in scena tutti i personaggi, anche se immobili?
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Da un punto di vista tecnico, trovo che far entrare ed uscire tanti attori sarebbe stato prima di tutto scomodo e lento e da un punto di vista dell’immagine – che io ho curato in modo particolare in questo lavoro – preferivo realizzare l’idea dei personaggi che, quasi magicamente, prendono vita di fronte al pubblico. Il loro abbandono della scena uno per volta, poi, rimanda al senso di abbandono profondo del clown alla fine della rappresentazione».
Quando i protagonisti interagiscono con il clown, il filo che lega i vari “botta e risposta” a suon di aforismi sembra molto sottile… vi ascoltate davvero o rimanete isolati, ciascuno nella sua battuta?
«Sì, in effetti al di là dei toni utilizzati, che apparentemente danno l’idea di un dialogo, c’è una fondamentale incomunicabilità tra il clown e le persone che incontra e cerca di rallegrare con la sua giocosità. Il protagonista tenta di inserirsi nel mondo di questi personaggi ma non ci riesce ed ognuno prosegue dritto per la propria strada».
Cosa rappresenta l’incontro finale con la ballerina vestita di rosso?
«L’incontro con la ballerina simboleggia l’incontro del protagonista con l’amore, una delle ultime fasi della sua crescita, quindi non racconta un vero innamoramento tra i due. Il clown rimane affascinato dal suo corpo e questo viene sottolineato dall’uso armonico che lei ne fa in una danza… Ma anche questo incontro è seguito da un abbandono e la disillusione è simboleggiata dalle bolle di sapone effimere ed inconsistenti.»
Trailer della prima versione
Laura Mancini