Intervista a Francesco Montanari, al Parioli con “Poker”
La particolarità dello spettacolo “Poker”, in scena dal 24 Ottobre 5 al Novembre 2017 al Teatro Parioli di Roma, è forse che non ha un vero inizio e una vera fine. Sebbene l’attenzione dello spettatore sia prima sollecitata dalla presentazione dei personaggi ben caratterizzati dagli interpreti (Francesco Montanari/Pollo, Massimo Brizi/Ash, Alberto Giusta/Sweeney, Aldo Ottobrino/Frankie, Matteo Sintucci/Carl, Antonio Zavatteri/Stephen) i quali seducono, ciascuno con la propria sfaccettatura e personalità e sia poi guidata dal crescendo di tensione nell’attesa dell’inizio della rituale nottata di poker, giunti alla conclusione della rappresentazione si può avere la sensazione che la vita di questi sei uomini debba ripetersi in un ciclo continuo di umori, parole e gesti senza soluzione o possibilità di cambiamento. Il lavoro di rappresentazione psicologica dei protagonisti, che risultano veri, credibili, spontanei, è diretto abilmente dal regista; è evidente che ognuno dei presenti al tavolo da gioco ripone in quella partita domenicale tutte le proprie speranze ma emerge anche l’incapacità di affrontare i problemi della vita quotidiana con concretezza anziché fuggirli rifugiandosi nell’illusione del gioco.
«In questa notte di sfida reciproca – scrive infatti il regista – in cui si cerca il riscatto e la gloria, vediamo persone comuni con alle spalle una vita non certo coronata di grandi successi, che hanno il progetto di una svolta, dei sogni di cambiamento e al contempo sono incapaci di perseguirli con successo».
Ne parliamo con Francesco Montanari: Marber racconta la storia di questi personaggi senza sbilanciarsi in maniera evidente a favore di uno piuttosto che dell’altro; siete tutti ugualmente protagonisti e non c’è una vera “conclusione”, una morale. Tu che hai studiato a fondo il testo e il tuo personaggio, credi che al di là dell’espediente sfruttato per scrivere una commedia ci sia una sorta di denuncia nei confronti della dipendenza dal gioco d’azzardo? «No, credo di no. Marber non fa denunce e il gioco è davvero solo un pretesto per osservare e raccontare la società: la facoltà di giudicare viene lasciata allo spettatore. E il lavoro che portiamo in scena è davvero molto corale, come dici tu».
Toglimi una curiosità: tu sai giocare a poker? «Sì un po’ sì ma non sono bravo».
E pensi che anche lo spettatore totalmente inesperto del gioco possa immedesimarsi nella tensione rappresentata o c’è il rischio che la metafora si perda se non si conoscono le regole del poker? «Penso che non si corra questo rischio perché il poker è, appunto, solo un pretesto, una metafora divertente per descrivere le relazioni sociali ed è sufficiente capire la follia e la passione che si può impiegare in qualsiasi gioco per lasciarsi trasportare da quella tensione».
Cosa ti ha attratto maggiormente di questo lavoro quando ti è stato proposto di partecipare? «Antonio mi ha proposto questa commedia, che sinceramente ancora non conoscevo e mi sono molto appassionato all’autore: ti consiglio di leggere anche Closer, io da quel testo ho capito ancora di più quanto Marber sia un pessimista/realista che non crede in assoluto nel cambiamento. Secondo lui è il mondo in cui viviamo a sovrastarci. In questo senso il mio personaggio è emblematico: in “Poker” Steven ad un certo punto perde di proposito al gioco, per lasciar vincere Pollo, proprio perché vuole mantenere la sua posizione di controllo.Il regista mi ha diretto nel ruolo di Pollo in modo da renderlo “fanciullesco” e questo personaggio, l’unico della commedia senza i filtri culturali dell’età adulta, mi ha colpito perché è il solo in grado di credere davvero che i suoi sogni possano realizzarsi; persino il ragazzo, Carl, pur essendo più giovane, attraversa una fase della vita caratterizzata dal conflitto padre/figlio ed è più disilluso di Pollo».
Quante libertà ti sei preso nell’interpretare il ruolo di Pollo e quanto, invece, ti ha indirizzato il regista Antonio Zavatteri? «Premetto che io ho avuto solo 12 giorni per provare con la compagnia perché ero impegnato a Palermo per le riprese di una nuova serie televisiva – Il Cacciatore, incentrata sul personaggio di Alfonso Sabella. Antonio aveva già portato in scena questo lavoro 4 anni fa e lui stesso aveva interpretato Pollo, ma anche per questioni anagrafiche lo aveva reso in modo totalmente diverso. Zavatteri non è un regista che dà delle imposizioni sulla performance; lui lavora soprattutto sull’attitudine emotiva, quindi mi ha lasciato sicuramente molto spazio».
Dall’esterno voi interpreti apparite incredibilmente a vostro agio insieme, il vostro sembra un divertimento sincero: è un’illusione o vi siete trovati davvero bene a lavorare fianco a fianco? «Conoscevo Antonio Zavatteri da tanto tempo, avevamo recitato insieme in una versione impegnativa di Romeo e Giulietta in cui avevo avuto modo di apprezzare la sua bravura ma anche di “innamorarmene” umanamente. Il desiderio di lavorare di nuovo insieme era rimasto da allora. Lui ha fondato con Alberto Giusta la compagnia Gank e l’anno scorso avevo avuto modo di vederli tutti all’opera in un’altra rappresentazione al Teatro Parioli. Non vedevo l’ora di collaborare con loro: sono bravissimi ma soprattutto fanno il teatro per come lo intendo io, con umanità».
Dal 24 Ottobre 5 al Novembre 2017
Teatro Parioli – Roma “Poker” di Patrick Marber Regia Antonio Zavatteri
Con: Francesco Montanari e la Compagnia Gank, Massimo Brizi, Alberto Giusta, Aldo Ottobrino, Matteo Sintucci, Antonio Zavatteri
Laura Mancini