FILIPPINO LIPPI INTERPRETE INQUIETO DEL PROPRIO E DEL NOSTRO TEMPO

Nella sindrome da ansia espositiva che sembra affliggere i nostri tempi, è una piacevole sorpresa imbattersi in una mostra intenzionata a sviluppare un progetto, piuttosto che ad appagare la bulimia visiva del pubblico. Montare assieme un gruppo di opere nella prospettiva di illustrare i risultati più recenti degli studi storico artistici, incentivando alla verifica e all’approfondimento sull’analisi diretta degli originali, è una prassi tutt’altro che consolidata.
È questo il caso, felice, della mostra Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del ‘400 allestita presso le Scuderie del Quirinale sino a gennaio 2012. Una mostra in linea con il programma espositivo condotto da questa sede, che dalla monografica dedicata a Antonello da Messina nel 2006, a quelle successivamente consacrate a Bellini, Caravaggio e Lotto, si è ormai distinta per il proposito di promuovere operazioni quantomeno utili a ripercorrere l’attività dei cosiddetti ‘maestri’ dell’arte italiana.
Certo, potrà forse apparire eccessivo il tentativo di suggerire un confronto tra il celebre Botticelli e un pittore ai più sconosciuto come Filippino. Non si tratta, tuttavia, di stabilire inutili gerarchie, né di sovvertire l’indiscussa fortuna novecentesca di Botticelli, costellata di tributi artistici e letterari (basti ricordare la fragile grazia delle sue figure riecheggiata da Proust nel romanzo À l’ombre des jeunes filles en fleurs, o la versione ‘pop’ della Nascita di Venere degli Uffizi realizzata da Warhol negli anni Ottanta). Al contrario, obiettivo della mostra è la volontà di restituire una corretta collocazione storica a Filippino, pittore affermatosi tra i più valenti artisti fiorentini del secondo Quattrocento; artista apprezzato e stimato sino al punto da oscurare Botticelli agli occhi della più illustre committenza del tempo.
Nel raccontare questa vicenda (già edita, ma al pubblico ignota) la mostra si dispiega con ordine e con garbo. Nelle prime sale al piano terra sono documentati gli esordi dell’artista, in un intreccio che ne lega la formazione alla maniera del padre Filippo Lippi e del pittore fra’ Diamante. Seguono il rapporto con Botticelli – nella cui bottega la presenza di Filippino è attestata nel 1472 – e poi gli anni dell’emancipazione del discepolo dal maestro.
Dalle tavolette della Storia di Ester (1475 c.) all’Adorazione dei Magi della National Gallery di Londra (1478 c.) e sino all’Apparizione della Vergine a San Bernardo (1484 c.), è possibile seguire l’evolvere dell’ingegno inquieto dell’artista verso la rappresentazione di paesaggi fantasmagorici, popolati di minute figurine estranee all’ideale purista neoplatonico.
Dispiace soltanto che in questo contesto la presenza di Botticelli sia più evocata che reale. Poche e poco determinanti le sue opere in mostra, sicché è demandato al visitatore il compito di tirare le somme su questioni che sarebbe stato più agile esplicitare attraverso un opportuno percorso espositivo.
Al piano superiore una serie di disegni riconducono alla decorazione della Cappela Carafa in Santa Maria sopra Minerva e agli affreschi della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella, lavori che Filippino eseguì negli anni tra il 1487 e il 1502. Due episodi significativi nella carriera dell’artista, emblemi di una raggiunta maturità e di un’eclettica cultura archeologica raffinatasi sull’esperienza dell’antico compiuta a Roma. Ma anche tratti salienti di quella nuova libertà espressiva (anticamera del manierismo) interprete delle tensioni che a fine secolo animarono Firenze, tra la caduta medicea e le prediche del Savonarola.
E forse è proprio qui che si apre uno degli scenari più interessanti della mostra. L’esagerazione citazionistica di Filippino, la fantasia sovrappopolata dei suoi dipinti, l’ansia che progressivamente trapela dalle sue opere, sembrano registrare più di un elemento in comune con la nostra attualità.
E se oggi siamo pronti a riscoprire ed apprezzare la bizzarria di Filippino a fronte della quieta e armonica purezza lineare di Botticelli, non è certo un caso.
Chiara Fabi

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