Danny Grissett, Vincenzo Florio e Marco Valeri al Gregory’s Jazz
Non manca molto al compimento di mezzo secolo di attività del Gregory’s jazz, il club e whisky bar di Roma che continua ad offrire ai residenti e ai turisti di passaggio nella Città Eterna serate di cucina ed intrattenimento musicale di alto livello. Se questo locale è una realtà ormai consolidata nel panorama dei jazz club italiani, la sua offerta e la programmazione musicale, però, non hanno nulla di “vecchio” e ripetitivo. Mentre l’appuntamento con le earlysessions alle 19.30 si riconferma un ottimo esperimento per chi vuole coniugare una cena di qualità con due ore di buona musica dal vivo, proseguono, dunque, i concerti con i big della scena jazz internazionale dalle 22.30 in poi. Lo scorso sabato, 30 novembre 2019, il mese si è chiuso con un trio di tutto rispetto. Danny Grissett, pianista e compositore originario di Los Angeles, ha proposto una decina dei suoi brani di maggior successo, insieme a Vincenzo Florio al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria. «Questo è uno dei locali che amo di più a Roma – ha detto Grissett al pubblico, durante il concerto – mi piace moltissimo suonare qui, amo il fatto che stiamo così vicini a voi e possiamo sentire la vostra energia». Uno degli aspetti che caratterizzano il Gregory’s, infatti è senz’altro l’atmosfera intima e “confidenziale” che mette gli spettatori sullo stesso piano degli artisti, in un dialogo alla pari. Le composizioni proposte dal trio durante la serata sono tratte prevalentemente dall’ultimo album di Grissett, “Remembrance”, dedicato al fratello di Danny, Bobby Grissett, venuto a mancare nel 2015. L’interpretazione di “Lament for Bobby” è molto sentita, il trio è unito e Grissett non appare “composto” come di consueto: carica la sua interpretazione accompagnandosi con tutto il corpo.
Gli standard reinterpretati mostrano la capacità del pianista di presentare la propria cifra stilistica pure nel grande rispetto della tradizione della musica afroamericana. Due esempi sono “Woody’n You” di Dizzie Gillespie, nella quale si percepisce anche l’influenza della nota versione di Bill Evans e “Prelude to a Kiss” di Duke Ellington, con le sue atmosfere rarefatte, sempre attuali, grazie alle quali Grissett dimostra che un capolavoro non invecchia mai. Tra “Renatus”, “Gallop’s Gallop”, “Just Enough”, “A Friend Indeed”, “Digital Big Foot” e “Detour Ahead” la suggestiva performance del trio ci riporta ad Herbie Hancock e all’hard-bop degli anni sessanta, abbandonando di tanto in tanto l’armonia tonale per poi ritrovarla, in una narrazione sempre compatta e coerente.
Laura Mancini