“L’uomo proiettile”, Silvano Agosti, Editrice L’Immagine
“L’uomo proiettile” è un racconto di Silvano Agosti del 1994, pubblicato con la sua casa editrice L’Immagine, di cui nel 1995 lo stesso autore ha realizzato un lungometraggio riscuotendo consensi dalla critica. Incredibile come Agosti, in sole 75 pagine, riesca a provocare tante emozioni nel lettore, portandolo a riflessioni inconsuete.
Col suo stile narrativo singolarissimo, senza ricorrere mai al discorso diretto, l’autore passa da un argomento all’altro, dal passato al presente, senza avvisarci, talvolta senza nemmeno dividere in paragrafi, come abbandonandosi al flusso di idee; eppure, lavorando per associazioni di idee ed immagini, nonostante la discontinuità del discorso, non confonde e non affatica mai il lettore e piuttosto ci accorgiamo che la narrazione scorre via facilmente.
Veniamo immediatamente catturati dal fascino del protagonista, un uomo che sfugge alle regole del mondo che sente come opprimenti e sceglie un mestiere inconsueto che lo lasci vivere (impossibile per lui associare 8 ore della giornata lavorativa a ciò che intende per “vita”), ci racconta di come, anche da bambino, non riuscisse a sopportare di stare 5 ore seduto al banco di scuola e, non compreso dalle insegnanti, venisse maltrattato per la sua insofferenza. E così tenta anche nella sua relazione con l’amata di non cadere nell’errore di volere possedere la sua donna; ma è proprio lì che emergono alcune inevitabili lacune del suo principio di vita e tutta l’umanità del protagonista. Non ci confessa mai la sua sofferenza e la sua gelosia, anzi, le nega entrambe, eppure le percepiamo fortemente, quasi da esserne commossi: in quella prima notte insonne del protagonista, trascorsa in solitudine ed in quel pianto intenso sgorgato mentre sedeva all’interno del cannone, a cui però accenna vagamente come a volergli dare poca importanza “Sono tranquillo e le lacrime scendono fino a bagnare il collo della camicia”.
Percepiamo, ancora, tutta l’umiliazione causata da quel sorriso di scherno del lattaio, mentre gli porge il caffè. Una conclusione che lascia tutto aperto ed una certa amarezza, ma che per certi versi appare coerente con quel senso di dilatazione del tempo ottenuto tramite la particolare tecnica narrativa che percorre tutto il racconto.
Laura Mancini