Argonauta è un lavoro raffinato, che ad un primo ascolto può lasciare confusi per la varietà di atmosfere ed il ricco e predominante contributo dell’elettronica; ciò che può renderne pesante l’ascolto è il fatto che a prevalere sono sonorità cupe ma ad una fruizione più attenta, emerge l’abilità dell’autore di immedesimarsi in “ruoli” sempre diversi e spesso non ordinari.
Il brano d’apertura “Lo scivolo” e l’irrequieto e squisitamente partenopeo “Ostinato sud” sono entrambi caratterizzati da una struttura piuttosto semplice e catturano per le melodie orecchiabili; la title track affascina grazie all’alternanza dell’attacco della chitarra elettrica amplificata, lento e drammatico – con richiami ai Pink Floyd – ed i toni tenui del trombone nella melodia funerea.
Multiforme, “Gatte su marte”, a metà tra l’elettronica, la fusion ed il rock, vede protagonista, nella prima parte, una voce metallica che ripete termini riferiti all’informatica, accompagnati da suoni elettronici, il tutto privo di melodia; subentrano, poi, i riff di chitarra elettrica e quelli del trombone ma si cambia ancora ritmo, come nella narrazione di una storia e la batteria introduce un andamento funky su cui si appoggia il suono distorto di una chitarra e quello del trombone swingante e sensuale dall’effetto ipnotico; inaspettatamente, rientra la serie di rapidi riff di chitarra e trombone che ci riportano alla partenza. Rarefatta l’atmosfera di “Giusy”; nel lento attacco languido, lo strumento del leader presenta una timbrica più ruvida ed il tema principale viene interrotto dagli assolo di Davide Costagliola al basso e Giovanni Francesca alla chitarra.
“A sharp” suona meno orecchiabile delle prime composizioni ma più ritmato ed attinge alla fusion anni ’70; la melodia è cantata dal trombone sui riff della chitarra elettrica, che si concede qui un assolo più vivace.
Si prosegue con un riarrangiamento di “Ramblin’” di Ornette Coleman: sulla base tintinnante proposta da Stefano Costanzo ai piatti, si adagia il tema d’apertura di trombone e chitarra suonato all’unisono, con un atteggiamento che potremmo definire scherzosamente “brontolone”; non si percepisce un ritmo finché non entra la batteria che fa da sottofondo ai fraseggi lamentosi e privi di melodia di Tedesco.
Più ballabile e coinvolgente “Tacchi a spillo”, animata dalla batteria funky che, come il trombone, è alterata dall’elettronica, seguita ancora da “Going”, in cui il trombonista opta per una timbrica più morbida ed un arrangiamento in stile smooth jazz. Nel triste e sonnacchioso “Nonna Mary” si abbandonano le percussioni mentre protagonista è il suono opaco di chitarra e trombone e si chiude con “Room 476”, allegro, giocoso, ci proietta in atmosfere extraterrene.
Una nota di merito alla grafica originale e simpatica della copertina, in cui, simbolicamente, è rappresentato un trombone “trasformato” in un’imbarcazione con a bordo il quartetto Low Frequency.
Laura Mancini