Festival di Arti Performative “Grafie 2009”

Particolarmente piacevole il contesto in cui veniamo accolti in occasione della prima serata del Festival di Arti Performative “Grafie 2009” dedicato in questa prima edizione ad Alonso Chisciano, presso la nuovissima Sala Luigi Pintor di Roma, a via Dello Scalo di San Lorenzo. Un bel parquet sotto i nostri piedi, luci soffuse e misurate per creare atmosfera, tavoli circondati da sedie al posto delle classiche file di poltrone e dalle 20.30 la possibilità di gustare un delizioso buffet della casa, in attesa che lo spettacolo cominci. Sembra un po’ come essere in un wine bar-restaurant ed al contempo ci si rilassa come quando si guarda un film in salotto mentre si cena: vengono combinati eleganza e capacità di far sentire lo spettatore/ospite a casa sua.

Lodevoli, poi, gli intenti che muovono l’Associazione “I Fools” in tutte le iniziative realizzate fin dall’apertura della sala, durante la scorso inverno, ad oggi, tutti volti ad avvicinare il quartiere all’arte popolare ma di buon livello a costo bassissimo ed allo stesso tempo a dare ai giovani artisti spazi per esibirsi, sempre a costi sostenibili.

Venerdì 2 Ottobre i ragazzi della compagnia Fools, che curano appunto la direzione artistica della sala, hanno scaldato simpaticamente l’atmosfera con una piccola sigla/presentazione introduttiva, visibilmente emozionati ed entusiasti.

A seguito di questa prima semifinale, sono passati alla finale del 10 ottobre 3 corti: poco mi convince il primo, un adattamento da Jaques Prévert, “Il cavallo solitario” per la regia di Cristina Spizzamiglio. La prima parte del corto è noiosa ed incomprensibile: le due giovani protagoniste si sfidano in un gioco dal significato oscuro usando quattro pupazzetti “Mio Mini Pony” a testa. “Trovare una relazione mantenendo una distanza…” vanno declamando nella loro insolita partita a scacchi. Ha scritto la compagnia, nella presentazione di questo lavoro, che chi alza la voce fuori dal coro non viene ascoltato e la poetica di Prévert, in tal senso, rivela una scomoda attinenza con la nostra civilissima realtà… e così le ragazze/cavalle si mettono a gridare “imbizzarrite” le lamentele dell’animale che decide di ribellarsi ai maltrattamenti subiti dall’uomo. Ma il significato non passa, la messa in scena è frammentaria e non assume una direzione chiara e l’interpretazione lascia a desiderare.

Il secondo è “Vacanze d’estate”, testo molto bello, decisamente più chiaro e comprensibile, tratto dall’opera di Quim Monzò, diretto ed interpretato da Teodora Grano e Daniele Bernabei. La giovane coppia alle prese con un tema drammatico come quello dell’aborto è presentata dall’autore catalano in maniera a tratti cinica a tratti grottesca. Brava ed espressiva la protagonista femminile (anche se dovrebbe tirar fuori un po’ di più la voce), buone le pause, le variazioni di toni, la mimica del volto; va bene anche il marito che, da semplice comparsa distratta quale può sembrare all’inizio, fa invece poi davvero suo il personaggio. Toccante l’umanità dei due coniugi che anche nell’assurdità della situazione presentata, fanno emergere, commuovendoci, il loro desiderio di essere genitori.

Il terzo finalista ci ha rallegrato un po’: si tratta di “Dopo le Ventiquattro” scritto, diretto ed interpretato da Angela Bruni e Elena D’Angelo che si presentano come compagnia di cabaret dell’assurdo “Idiomi e idioti”. Le due ragazze perdono troppo tempo nell’allestimento – per carità, accuratissimo e grazioso – della scena e nei cambi d’abito – anche quelli scelti bene – che avvengono davanti ai nostri occhi. Sembrano addirittura provarci gusto e mostrano in questo una punta di presunzione. Sfuggono, in alcuni momenti del primo sketch i legami che dovrebbero essere dettati dal linguaggio, nella conversazione astratta tra marito e moglie e sono forse solo le loro “facce buffe” a far sorridere. Più caricaturale e ilare e riuscita, nel secondo sketch, l’interpretazione delle due vecchie pettegole.

Non è passato in finale, invece, “Wafer al cioccolato”, testo di Lucia Lasciarrea, per la regia di Antonella De Angelis.

Sabato 3 Ottobre sono stati scelti altri due finalisti, dai 5 corti presentati. Il primo è “Dulcinea va a sposare” di Francesca De Rossi, per la regia di Massimo Roberto Beato e Jacopo Bezzi. Protagonista Dulcinea, interpretata da un’intensa Nicoletta La Terra, la quale ogni volta che tenta di diventare sposa di un uomo, vede ricomparire il fantasma del suo primo amore carnale, Don Chisciotte, qui realizzato con forza e presenza scenica da Francesco Montanari, e spinta dall’esasperazione si trova  a chiedergli di portarla con lui nel mondo degli inferi. Un corto breve, conciso, completo, che alterna rapidamente ed efficacemente umori e sentimenti senza dimenticarsi mai dello spettatore.

L’altro finalista è invece “Il cantico del lamento”, scritto e diretto da Davis Tagliaferro, consiste in un monologo interpretato da Annarita Colucci. La ragazza – davvero troppo giovane per farci vedere, anche con tutto il lavoro di trucco, una donna anziana nei suoi atteggiamenti e nelle sembianze – declama il testo dando l’impressione di viverlo poco e risulta artificiosa, fredda, finta. A poco servono, così, le bellissime musiche, il testo interessante, riflessivo ed interiore e dell’atmosfera “inquietante” preannunciata dalla compagnia nella presentazione del lavoro non arriva nulla. La protagonista è una donna che rifiuta la sua esistenza e da questa condizione dovrebbe sgorgare il lamento, lo sfogo. Persino il costringersi a stare su una sedia a rotelle si rivela una scelta dovuta alle profonde insicurezze della donna, che è arrivata a considerare quell’inutile oggetto il suo trono. Ma ahimé, questo “esplodere” della tensione emotiva della protagonista non è reso minimamente e neanche le lacrime che abilmente l’attrice riesce a far sgorgare nel finale riescono ad andare oltre l’esercizio tecnico e a commuovere.

Non passano, invece, i corti “Mogli ebree alle ceneri” tratto da Brecht e Pinter, di e con Daniela Ferri, “Il gioco del silenzio” scritto, diretto ed interpretato da Massimo Dobrovic e “Nuovo Ordine Mondiale” ispirato ad un testo di Harold Pinter e riadattato e diretto da Rosario Mastrota, con Laura Garofoli e Desirée Cozzolino.

E veniamo alla finale: i tre Corti premiati dal Festival proclamati a conclusione della sera di sabato 10 Ottobre non hanno vinto denaro, ma luoghi, sostegno tecnico e pubblicità per poter rappresentare gli sviluppi delle proposte in concorso. Il coordinamento  delle attività proposte e la direzione artistica saranno a cura dell’Associazione culturale Fóòls, patrocinata dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico.

Non sono mancati i “colpi di scena”: due dei corti passati in finale non si sono potuti presentare e così è stato ripescato “Nuovo ordine mondiale” e a concorrere per i 3 premi (più quello del pubblico) sono state quattro compagnie.

Vince il primo premio ed anche il premio del pubblico “Il cantico del lamento”: stavolta vediamo la protagonista godersi un po’ di più il testo con tutte le sue pause, anche se c’è ancora molto lavoro da fare sulla mimica facciale e nella costruzione del personaggio.

Il secondo premio va proprio ai “ripescati”: “Nuovo ordine mondiale” stavolta presenta una performance un tantino più uniforme e credibile ma anche a loro auguriamo di sfruttare bene il tempo a venire per arricchire lo spettacolo di contenuti, che altrimenti, dopo la simpatica introduzione musicata e coreografata con grande cura dei dettagli, latitano. Bravissimi ed espressivi, comunque, i tre interpreti.

Il terzo premio è per “Vacanze d’estate” che inspiegabilmente, stavolta, viene presentato con poca convinzione degli attori, i quali sembrano meno immersi nelle rispettive parti; resta però la profondità del testo e l’impressione di una grande potenzialità della compagnia.

Resta fuori il cabaret dell’assurdo “Dopo le Ventiquattro” che risulta più lento e meno coinvolgente e a differenza della prima volta, non riesce a strapparci nemmeno un sorriso: forse non è serata ma senza dubbio le due attrici devono lavorare ancora molto sulla loro coalizione.

La peculiarità del Festival è quella di proporsi come occasione di crescita e di integrazione artistica, mettendo alla pari tutte le discipline artistiche che possono trovare nel teatro il loro luogo di esposizione, senza distinzioni e ponendo nella giuria esperti di ogni disciplina artistica contemplata. È così che, a conclusione delle performance e a seguito delle premiazioni si è svolta una tavola rotonda tra giurati e compagnie partecipanti, per un interessante confronto.

Laura Mancini

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