Alessio Riccio, “Ninshubar” Unorthodox Recordings
Proposte musicali “poco ortodosse”, quelle del batterista Alessio Riccio.
Sebbene Alessio Riccio debba la sua fama al talento come batterista, la solida formazione e la vasta padronanza della materia che vanta il musicista fiorentino – pianoforte, armonia, arrangiamento, elettronica – gli hanno consentito quell’approccio meticoloso alla musica che gli ha fruttato numerosi riconoscimenti; dal 1991 al 2002 ha pubblicato trascrizioni e analisi stilistiche sul magazine Percussioni e dall’ottobre 2001 fa parte del corpo docente della Fondazione Siena Jazz.
Questa simbiosi con la musica si ritrova nei progetti intrapresi da Alessio Riccio, in particolare in quelli di compositore elettroacustico pubblicati tramite la sua label Unorthodox Recordings, attiva dal 1998. L’etichetta, come espresso negli intenti dello stesso ideatore, “vuol essere emanazione di pensiero utopico, tendenza all’autodeterminazione assoluta. Nasce in maniera spontanea dal feroce desiderio di salvaguardia e valorizzazione del proprio fare musicale (…) e fonde il pensiero con l’azione, l’essere con il divenire, ponendo l’artista in una posizione di libertà”.
Tra le ultime proposte, si colloca la pubblicazione di Ninshubar (A. Riccio: percussioni, elettronica; Hasse Poulsen: chitarre; Monica Demuru: voce; Catherine Jauniaux: voce). Nei 18 brani che formano l’album, intitolato come la divinità sumera che, suonando il tamburo, accompagna le anime nell’aldilà, l’elettronica viene utilizzata sia nell’esecuzione, tramite loop, campionamenti e ribattimenti ritmici, sia, in un secondo momento, nella fase di editing, per un intricato risultato elettro-pop-acustico che filtra in maniera profonda la musica e la strumentazione, così destrutturata e ricomposta in modo innovativo e del tutto originale, portando la chiara firma dell’artista.
Dentro alla rielaborazione dei suoni compaiono elementi di musica concreta e le due voci femminili, alternando cantato e recitato (non sempre in lingua italiana, talvolta risultando incomprensibili fino a diventare parte della strumentazione), ora robotico ora ricco di enfasi, conferiscono alle composizioni atmosfere inquiete e sinistre. Accenni di ritmi funk si ritrovano in T6B (Cerbiatta) (Hieros Gamos) (La saggezza ideale) (Infiniti gli uomini) e non mancano improvvisazioni di stampo jazzistico come in Blessedeness.
I titoli dei brani sono inconsueti e volutamente simbolici: pieni di parentesi e sigle, sembrano equazioni matematiche, ricordando come un oggetto di un brano faccia parte di un altro fino a comporre l’intero album come una suite. Ishbu Kubu (ripreso anche in (Re)Ishbu Kubu) rimanda al misterioso culto omonimo, metafora del facile successo commerciale; Da nemico ad amico, si parlò di un cane… e Il cane e la (sua) nuova vita ironizzano sull’utopia della ricerca della perfezione.
Laura Mancini